Dopo essersi diplomata presso il Liceo artistico e l’Accademia di Belle Arti di Roma, Vincenza Costantini ha intrapreso con felice intuito la strada più rispondente all’arte moderna, pur se l’arte, come diceva Schiele, non può essere moderna in quanto ritorna eternamente alle origini: la strada multimediale, il campo interdisciplinare, il più vario orizzonte creativo, sul presupposto che fra le varie discipline artistiche, specialmente fra pittura, scultura e incisione, esista una stretta affinità.
Pratica il disegno, la pittura, la scultura, nonché le varie tecniche grafiche, quali le incisioni calcografiche dirette (punta secca) e indirette (acquaforte, acquatinta, ceramolle, morsura aperta); usa con perizia la matita, l’inchiostro di china, l’olio, l’acquarello; adotta le materie più disparate, soprattutto la terracotta e la ceramica, nelle quali Arturo Martini, Marino Marini, Leoncillo ci hanno lasciato opere meravigliose; fa inoltre, sull’esempio dei maggiori pittori e scultori italiani, antichi e moderni, dal Bernini a Manzù, da Scialoja a Ceroli, la scenografa e la costumista teatrale.
E’ sorprendente, per la sua ampiezza e la sua varietà, la gamma delle esperienze artistiche in cui esercita il suo talento.
Il Disegno.
E’ notorio che Leonardo considerava il disegno un’arte divina: “Il disegno”, si legge nel Trattato della Pittura, “è una scienza se esplora l’anatomia con la precisione del tratto, una deità se suggerisce il mistero con lo sfumato dell’ombra”. E’ ancora: “Ma la prima (la prima parte della prospettiva, n.d.r.) che sol si estende ne’lineamenti e termini de’corpi è detta disegno, cioè figurazione di qualunque corpo. Da questa esce un’altra scienza che si estende in ombra e lume o vuoi dire chiaro e scuro”.
Sull’esempio di Leonardo, anche Giorgio de Chirico considerava il disegno un‘arte divina: “I nostri maestri, prima di ogni altra cosa”, scriveva nel 1919 su Valori Plastici, “ci insegnarono il disegno: il disegno, l’arte divina, base di ogni costruzione plastica, scheletro di ogni opera buona, legge eterna che ogni artista deve seguire”.
Vincenza Costantini è una piccola maestra del disegno. Nelle sue mani la matita o le penne ad inchiostro compiono sul foglio bianco incursioni acrobatiche, cogliendo il corpo umano, con linee pressoché ininterrotte e pochi tratti fra il chiaro e lo scuro, in tutte le posizioni possibili, piegandolo con grande virtuosismo al suo estro inventivo.
L’incisione.
La stessa cosa può dirsi delle sue incisioni. E’ noto che quella dell’incisione è una tecnica raffinata e sottile, che richiede pazienza e precisione, un lavoro sfibrante, ma che ha avuto tuttavia in ogni tempo cultori appassionati e maestri di varia eccellenza, da Rembrandt a Durer, da Moore a Bartolini, da Morandi a Vespignani. Alcune delle loro incisioni sono più belle delle loro pitture o delle loro sculture. Uno dei figli del Tiepolo, Lorenzo, riproduceva le immagini pittoriche del padre e del fratello Giandomenico in incisioni, delle quali si tiravano diverse copie, e poiché non esisteva la fotografia, erano queste incisioni che facevano conoscere le opere. E’ una incisione una delle opere più suggestive della storia dell’arte, la Melancholia I di Durer, che ha affascinato generazioni di pittori-incisori.
Vincenza Costantini mostra di aver appreso bene la lezione di questi grandi maestri. Le sue incisioni, come Anime, Le ombre della sera, Notturno, Sotto la luna matta, In sé, Presenza inquieta, Idolo, Rapsodia, Nebbia d’autunno, Musica interiore, Luce del deserto, Tra cielo e terra, non sono meno preziose delle sue pitture, per abilità tecnica, invenzione, estro, straordinaria padronanza del bianco e nero e del colore, immaginazione erotica. L’eros, diceva Platone, è desiderio di bellezza, tensione verso la bellezza in sé.
La Pittura.
Nel trattato Della Pittura Leon Battista Alberti scrive che la pittura sarebbe stata inventata da Narciso che si specchia alla fonte, che vede riflessa la propria immagine nella fonte come in uno specchio: “Io sono usato dire fra gli amici, che l’inventor della pittura sia stato quel Narcisso, il quale secondo l’opinion de’poeti, fu mutato in un fiore. Perciò che essendo la pittura fiore di tutte le arti, tutta la favola di Narcisso alhora si confarà molto a questa materia. Perché che altro è dipingere, che abbracciare con arte quella superficie della fonte?”. Egli sostiene che la pittura rende l’uomo simile a dio: “Havendo io a scrivere della pittura, prima torrò dai Mathematici quelle cose che mi parranno necessarie alla materia. Le quali poi che saranno intese dichiarerò la pittura dai principi stessi della natura: Zeusi…. Nel dipingere gli animali si mostrasse quasi dio fra gli uomini. La pittura ha dunque questa lode, che quegli che sono ammaestrati in essa alhora si conoscono essere molto simili a dio”.
Lo storico dell’arte rinascimentale Hubert Damish sostiene che le idee albertiane, secondo le quali il dipingere altro non sarebbe che abbracciare con arte la superficie della fonte, sarebbero state fatte proprie anche da Matisse. Ma prima che da Matisse, erano state riprese da Leonardo, il quale insegnava che la pittura si apparenta alla matematica, alla geometria e alla filosofia, permette di conoscere la natura, abbraccia con arte la superficie dei corpi.
Non sappiano se Vincenza Costantini conosca la matematica e la filosofia, ma senza dubbio conosce la geometria e sa come abbracciare con arte la superficie della tela, riempiendola di figure e di cromie seducenti.
La Scultura.
Il Winckelmann fa nascere l’arte dalla scultura e considera la pittura un elemento decorativo della scultura. Con ogni probabilità egli traeva questa convinzione dal fatto che in antico le sculture venivano dipinte, ma già presso i Greci la pittura godeva d’una piena autonomia rispetto alla scultura. Nella sua pittura Apelle, il ritrattista ufficiale di Alessandro Magno, non doveva nulla agli scultori del suo paese. Nei tempi moderni la pittura ha continuato a guadagnare progressivamente terreno rispetto alla scultura, ma la scultura, fors’anche perché più difficile e più costosa rispetto alla pittura, è restata e resta il sogno segreto della maggior parte dei pittori. Se molti scultori, come Marino Marini e Manzù, dipingevano abbastanza bene, specialmente il primo, non sono molti i pittori altrettanto bravi come scultori, neppure De Chirico o Masson.
Nel 1945 Arturo Martini emetteva una sentenza funesta: la scultura è una lingua morta, scriveva nel celebre trattato omonimo. Ma egli si riferiva alla statua e al monumento, che erano stati già condannati nel 1912 da Boccioni nel Manifesto della scultura futurista. Nel 1969 Martin Heidegger, nella conferenza tenuta alla galleria Im Erker di San Gallo in occasione d’una mostra dello scultore berlinese Bernhard Heliger, additava lo spazio come elemento basilare della scultura e apparentava la scultura all’architettura e all’urbanistica, lezione che veniva raccolta, in particolare, da Chillida, Caro, Serra, i quali usavano o usano materiali propri della civiltà industriale, come ferro, acciaio cemento armato, ghisa, granito.
Ma Vincenza Costantini fa uso soprattutto della terracotta, la materia già cara agli Etruschi e adorata da Arturo Martini, ed è nelle sculture in terracotta che raggiunge i risultati più alti. Ella si cimenta con il corpo femminile o con la figura umana, che è tornata ad assumere un ruolo centrale nel mondo sempre più artificiale in cui viviamo. Conosce, ovviamente, i grandi scultori figurativi italiani della seconda metà del secolo scorso, quali Marino Marini, Manzù, Greco, Fazzini, ma possiede rispetto ad essi una nuova sensibilità, una inquietudine tipica degli artisti odierni, una sua propria personale autonomia espressiva, come appare in Sognando il vero, Pensiero notturno, Costrizione, etc. Sognando il vero è un titolo emblematico: la scultrice mira a raggiungere il vero attraverso il sogno, ossia attraverso una visione onirica della realtà, arricchendo il realismo con un elemento surreale e realizzando una idea attuale del bello. La bellezza delle sue sculture è una bellezza reale, ossia una bellezza umana più che ideale, una bellezza sofferta, dolorosa, straziata, quale risulta nei volti informi, sfigurati, urlanti di alcune delle sue figure femminili. E’ la bellezza quale è consentita nei tempi sconvolgenti che ci incalzano, in cui la bellezza ideale winckelmanniana ha ceduto il posto all’estetica del brutto.
La Scenografia e il Teatro.
Un’artista sensibile come Vincenza Costantini non poteva non provarsi anche nella scenografia teatrale, come del resto molti dei giovani di oggi che avevano avuto la fortuna di seguire all’Accademia di Belle Arti di Roma un maestro come Toti Scialoja. Le manca soltanto il cinema, con il quale, come diceva Federico Fellini, la pittura ha una parentela genetica, in quanto sia il primo che la seconda non possono vivere senza la luce. Ma è molto probabile che prima o dopo aggiunga alle sua molteplici attività una esperienza affascinante come quella cinematografica.
Biografia
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